“Doveva essere Papa, poi è successo l’impensabile”: il clamoroso retroscena sul Cardinale Parolin che cambia tutto

Perché Parolin non è diventato Papa? I 5 retroscena che (forse) non conosci

Il mondo cattolico ha appena vissuto uno di quei momenti che entrano nei libri di storia. L’8 maggio 2025, il fumo bianco si è alzato sopra la Cappella Sistina annunciando al mondo un nuovo Papa. Contrariamente a molte previsioni, non è stato il Cardinale Pietro Parolin a salire al soglio pontificio, ma l’americano Robert Francis Prevost, che ha scelto di chiamarsi Leone XIV. Ma cosa è successo davvero dietro le porte chiuse del conclave? Perché Parolin, considerato dai vaticanisti il favorito, non ha ricevuto le chiavi di Pietro? Il risultato sorprendente di questa elezione papale svela dinamiche inaspettate nel cuore della Chiesa cattolica.

Il profilo di Parolin: un papabile con credenziali impeccabili

Prima di analizzare perché non è diventato Papa, dobbiamo capire perché Parolin era così favorito. Il cardinale italiano, nato a Schiavon nel 1955, rappresentava una figura di peso in Vaticano. Come Segretario di Stato della Santa Sede dal 2013, è stato il braccio destro di Papa Francesco per anni, gestendo praticamente tutta la diplomazia vaticana e accumulando un’esperienza internazionale invidiabile.

Gli analisti vaticani lo consideravano il candidato ideale: italiano (dopo due Papi non italiani consecutivi), diplomatico esperto, moderato nelle posizioni teologiche e con una capacità unica di fare da ponte tra l’ala progressista e quella conservatrice della Chiesa. Come ha osservato lo storico della Chiesa Alberto Melloni: “Parolin rappresentava la continuità nella discontinuità: avrebbe potuto proseguire le riforme di Francesco senza spaventare i conservatori”.

I sorprendenti fattori che hanno influenzato il conclave

La “sindrome del favorito” nel processo di elezione papale

Chi conosce la storia dei conclavi sa che esiste un vecchio adagio: “Chi entra Papa in conclave, ne esce cardinale”. Non è solo una battuta. I dati storici confermano che raramente i favoriti della vigilia vengono effettivamente eletti. L’ultimo esempio clamoroso? Il conclave del 2013, quando il cardinale Angelo Scola, dato per quasi certo, venne superato da Jorge Mario Bergoglio.

Il vaticanista Andrea Tornielli ha spiegato: “Essere indicato come papabile dai media spesso rappresenta un handicap più che un vantaggio. Crea aspettative e timori, alimenta rivalità e può generare una sorta di anticorpo nel collegio cardinalizio”.

Parolin, pur con tutte le sue qualità, potrebbe essere stato vittima proprio di questo fenomeno, trovandosi paradossalmente indebolito dall’essere considerato troppo forte.

Il peso diplomatico del Segretario di Stato vaticano

Storicamente, essere Segretario di Stato non è mai stato un trampolino efficace per il soglio pontificio. L’ultimo Segretario di Stato diventato Papa fu Pio XII (Eugenio Pacelli), eletto nel 1939. Il ruolo espone inevitabilmente a decisioni controverse e crea inimicizie.

Come ha sottolineato la storica della Chiesa Lucia Ceci: “Il Segretario di Stato deve spesso prendere posizioni nette su questioni delicate, dalla politica internazionale alla gestione interna della Curia. Questo lo rende una figura divisiva, anche se competente”.

Parolin ha dovuto gestire dossier complessi come i rapporti con la Cina (con il controverso accordo sulla nomina dei vescovi) e le tensioni tra Russia e Ucraina durante il conflitto. Scelte che potrebbero aver creato riserve in alcuni elettori del conclave.

L’influenza crescente dell’America Latina nella Chiesa

Un aspetto sottovalutato nelle analisi pre-conclave è stato il peso demografico dell’America Latina nel collegio cardinalizio. Con Papa Francesco, il primo pontefice sudamericano della storia, la rappresentanza di cardinali provenienti da quella regione è aumentata significativamente.

I dati dell’Annuario Pontificio 2023 mostrano che circa il 20% dei cardinali elettori proviene dall’America Latina, una percentuale mai vista prima. Secondo l’analisi di Luis Badilla: “C’è stata una coesione straordinaria tra i cardinali latino-americani, che hanno probabilmente visto in Prevost un ponte ideale tra il Nord e il Sud del continente americano”.

Robert Francis Prevost, pur essendo statunitense di nascita, ha trascorso gran parte della sua vita pastorale in Perù, conoscendo profondamente le problematiche delle Chiese periferiche tanto care a Francesco.

La riforma della Curia e il vantaggio dell’outsider

Uno degli aspetti che potrebbe aver giocato a sfavore di Parolin è proprio la sua profonda conoscenza degli ingranaggi della Curia Romana. Paradossalmente, essere considerato un “insider” dell’apparato vaticano può essere stato percepito come un limite anziché un vantaggio in un’epoca di riforma.

La riforma della Curia Romana, iniziata da Francesco ma non completata, è stata uno dei temi centrali nelle discussioni pre-conclave. Marco Politi, biografo papale, ha evidenziato: “Molti cardinali cercavano qualcuno che potesse guardare alle strutture vaticane con occhi nuovi, non condizionati da vecchie logiche di potere o da rapporti consolidati”.

In questo senso, Prevost rappresentava la figura del “riformatore esterno”, capace di portare avanti i cambiamenti senza le resistenze che avrebbe potuto incontrare chi, come Parolin, era stato al centro di quelle strutture per decenni.

L’età e la prospettiva di un pontificato equilibrato

Un elemento determinante potrebbe essere stata la percezione di salute e vitalità. Pietro Parolin e Robert Francis Prevost, entrambi nati nel 1955, hanno 70 anni nel 2025, ma secondo fonti vaticane, Prevost è considerato in condizioni fisiche particolarmente buone.

Dopo le dimissioni storiche di Benedetto XVI e di fronte a un Papa Francesco che ha governato la Chiesa fino a 88 anni affrontando vari problemi di salute, molti cardinali potrebbero aver preferito un candidato che garantisse un pontificato né troppo breve né troppo lungo.

Come ha spiegato il sociologo della religione Massimo Introvigne: “I cardinali potrebbero aver optato per una sorta di ‘pontificato ponte’, sufficientemente lungo da consolidare alcune riforme ma non così esteso da rimandare troppo il prossimo conclave. La Chiesa vive una fase di transizione che richiede equilibrio anche nella prospettiva temporale”.

Leone XIV: il profilo di un Papa che ha conquistato il conclave

Per comprendere meglio perché Parolin è stato superato, vale la pena analizzare il profilo del vincitore. Robert Francis Prevost, ora Papa Leone XIV, rappresenta una sintesi di elementi che hanno evidentemente convinto i cardinali elettori.

Nato a Chicago da famiglia di origine spagnola, Prevost è stato missionario in Perù per oltre 15 anni, diventando poi vescovo di Chiclayo. Rientrato a Roma, Francesco lo aveva nominato prefetto del Dicastero per i Vescovi il 6 gennaio 2023, ruolo chiave che gli ha permesso di conoscere le realtà episcopali di tutto il mondo.

La scelta del nome “Leone” appare significativa. L’ultimo Leone, Leone XIII (1878-1903), è ricordato per la sua dottrina sociale della Chiesa, in particolare l’enciclica Rerum Novarum, e per aver aperto il cattolicesimo alla modernità senza cedere sui principi fondamentali – un equilibrio che evidentemente il nuovo Papa intende perseguire.

Le sue prime parole dalla loggia delle benedizioni, quel “La pace sia con tutti voi” pronunciato visibilmente commosso, hanno mostrato la sensibilità di un pastore che conosce le sofferenze del mondo contemporaneo, segnato da conflitti e divisioni.

Le lezioni di un’elezione papale inaspettata

L’elezione di Leone XIV a discapito del favorito Parolin ci ricorda alcune verità fondamentali sui conclavi e sulla Chiesa cattolica:

  • I conclavi sono imprevedibili: nonostante analisi, sondaggi e previsioni, la dinamica del voto a porte chiuse segue logiche che sfuggono agli osservatori esterni
  • La globalizzazione della Chiesa è irreversibile: dopo un polacco, un tedesco, un argentino e ora un americano con esperienza missionaria, appare chiaro che il papato non è più una “questione italiana”
  • Le reti di relazioni contano più delle apparenze: spesso è la capacità di creare consenso tra diverse “correnti” a determinare l’esito, più che l’immagine pubblica

Il futuro di Parolin nella Chiesa di Leone XIV

Cosa accadrà ora al cardinale Parolin? La tradizione vuole che il nuovo Papa confermi o sostituisca il Segretario di Stato nei suoi primi atti di governo. Secondo l’analisi di esperti vaticanisti, Leone XIV potrebbe considerare una transizione graduale, mantenendo Parolin nel ruolo per un periodo limitato prima di nominare un successore.

In ogni caso, a 70 anni Parolin resta una figura di primissimo piano nel Collegio Cardinalizio e la sua esperienza sarà certamente valorizzata, magari in altri ruoli di responsabilità. Come ha ricordato il cardinale Walter Kasper: “Non essere eletti Papa non è mai una sconfitta personale; spesso significa che Dio ha altri disegni per quella persona”.

Una Chiesa in trasformazione: il significato profondo di questa elezione

L’elezione di Leone XIV e la “non elezione” di Pietro Parolin raccontano molto più di una semplice preferenza personale espressa dai cardinali. Riflettono i complessi equilibri di una Chiesa cattolica che sta cercando la sua strada in un mondo in rapida trasformazione.

Mentre i fedeli si abituano al nuovo volto e alla nuova voce che guiderà i cattolici nei prossimi anni, gli storici iniziano già a studiare questo conclave come espressione di tendenze profonde: la crescente influenza del Sud del mondo, la ricerca di figure pastorali più che diplomatiche, il desiderio di una riforma che parta dalle periferie piuttosto che dal centro.

In definitiva, se Parolin non è diventato Papa, non è stato per una sua mancanza o debolezza, ma perché il collegio cardinalizio ha sentito l’esigenza di un diverso tipo di leadership per questa fase storica. Una scelta che non diminuisce in alcun modo la statura del cardinale italiano, ma che ci racconta come la Chiesa cattolica stia navigando le acque tempestose della contemporaneità con una bussola che spesso sorprende gli osservatori, anche quelli più esperti.

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